Chicco e Cereza – Le Donne del Caffè
Il racconto di due “donne del caffè” del Centro e Sud America: intervista a Claudia Mercedes Ordoñez Espinosa
Da sinistra: Claudia Mercedes Ordoñez Espinosa, Servicio Nacional de Aprendizaje – SENA – Colombia e Gisela Yaneth Castillo, Escafe (Escuela superior del cafe) dell’Ihcafe (Instituto hondureño del café ), Honduras
Clicca qui per leggere l’intervista a Gisela Yaneth Castillo
di Maria Cristina Latini
Ho intervistato Claudia e Gisella a Rimini nel gennaio 2020, durante lo svolgimento della fiera internazionale Sigep, dove entrambe si sono recate nell’ambito di un viaggio che hanno rispettivamente compiuto in Italia, volto a perfezionare la loro conoscenza della filiera del caffè. Il viaggio che entrambe hanno compiuto è inserito nell’ambito dell’iniziativa intitolata “Scuola italiana del caffè” coordinata dall’IILA (Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana) e realizzata con fondi della Cooperazione Italiana allo Svillupo. La “Scuola italiana del caffè” ha coinvolto tecnici provenienti da sette Paesi latinoamericani e nella fattispecie ha visto, da un lato, Claudia partecipare – come parte di un gruppo di tecnici colombiani di Cauca, Huila e della Provincia di Cartama (Antioquia) – a una serie di attività coordinate dalla IILA stessa e dall’altro Gisella intervenire nelle attività tecniche come parte di un gruppo di esperti, questa volta centroamericani e caraibici, coordinati dalla Ong bolognese CEFA (Comitato Europeo Formazione e Agricoltura).
Claudia (37 anni) è una docente del settore caffeicolo in Colombia e Gisella (27 anni) sta terminando i propri studi presso l’Escafe (Escuela superior del cafe) dell’Ihcafe (Instituto hondureño del café) in Honduras. A separarle ci sono sia dieci anni di differenza, che – considerando i rispettivi Paesi di provenienza – quasi duemila chilometri di distanza, ma entrambe sono accomunate dal fatto di essere nate in una famiglia di produttori di caffè e la loro grande passione per il chicco le ha condotte a decidere di dedicare i loro studi e la loro professionalità alla nostra tanto amata bevanda. Quella che segue è l’intervista a Claudia Mercedes Ordoñez Espinosa, del Servicio Nacional de Aprendizaje (Sena) in Colombia.
Vuoi raccontaci qualcosa sulla tua famiglia di produttori di caffè?
La mia famiglia arrivò nel comune di Pitalito negli anni ’60 dal vicino dipartimento di Nariño, alla ricerca di nuove opportunità di vita, perché nella zona rurale da cui proveniva non vi erano le condizioni per vivere adeguatamente. Si stabilirono con la famiglia di mia madre nella zona rurale, vicino al comune di Pitalito, a quel tempo la famiglia era composta da sette figli (Claudia è l’ultima di dieci figli, ndr). Con il lavoro di mio padre sono riusciti ad acquisire una piccola fattoria di nove ettari dove si è iniziato a coltivare il caffè e ad allevare bestiame, per vendere il latte. Con tanto impegno la mia famiglia è riuscita a far studiare cinque dei miei fratelli che sono diventati tutti insegnanti di scuola, pur continuando la loro attività di coltivatori di caffè. Sia i miei fratelli maggiori, che mia sorella non potettero studiare poiché gli uni aiutavano mio padre e l’altra aiutava mamma nelle faccende domestiche. Siccome io ero la più piccola e i miei fratelli già lavoravano, sono stati loro ad aiutarmi ad andare all’Università per laurearmi come Ingeniera agropecuaria (studi in agricoltura e zootecnia, ndr); adesso sono ancora nel settore del caffè, ho la mia fattoria (con due ettari di coltivazione di caffè) e sono molto felice di lavorare con i coltivatori di caffè nel Servicio Nacional de Aprendizaje (Sena), occupandomi sia dell’insegnamento, che della produzione del caffè.
Che tipo di caffè produce la tua famiglia?
Produciamo caffè lavato, arabica della varietà Castillo, Colombia e Cenicafe 1.
Quanto è importante il legame con la terra, per una persona come te che proviene da una famiglia di produttori di caffè?
La terra è ciò che ti permette di mantenere un legame profondo con la famiglia e con i ricordi dell’infanzia. È ciò che mi ha permesso di studiare e di migliorare le mie condizioni di vita. Un coltivatore di caffè senza terra non è nessuno, la felicità non è data solo dal denaro, la felicità consiste nel fatto stesso di stare nella fattoria godendosi il paesaggio, il clima, la biodiversità, potendo condividere tutto questo con le persone che vi lavorano.
Prima di lavorare nel settore del caffè di che cosa ti sei occupata oppure che studi hai compiuto?
La verità è che ho studiato, ma non voglio lasciare il campo o la produzione di caffè. Ho completato il dottorato a dicembre 2019, ma l’ho fatto sia come esempio per i miei figli, che per aiutare i produttori affinché il loro caffè e il loro cacao siano sempre più di qualità. Ma la mia sfida consiste nel far sì che il consumatore di una tazza di caffè o di una tavoletta di cioccolato conosca le storie di vita che stanno dietro a questi prodotti, affinché i coltivatori possano essere ricompensati direttamente per tutti i loro sforzi e che (la remunerazione, ndr) non rimanga solo (nelle mani, ndr) degli intermediari. Perché, in base alla mia esperienza effettuata qui in Italia, mi rendo conto che un produttore di caffè non riceve nemmeno il 20% di ciò che paga un consumatore.
Come ha avuto inizio la tua esperienza nel mondo del caffè?
Sin da quando ricordo che, da bambina, accompagnavo il mio papà e la mia mamma a raccogliere il caffè, a portare il cibo per i miei fratelli e per gli altri lavoratori; dal momento in cui mi ricordo di aver dato una mano a lavare il caffè per essiccarlo e venderlo e di aver accompagnato mamma e papà a vendere il caffè essiccato. Dopodiché ho completato i miei studi di ingegneria seguiti dalla bella esperienza di mettere su la mia coltivazione di caffè (seguendone la semina, la preparazione della terra, la realizzazione di ciascuna attività relativa alla coltivazione, la raccolta, l’essiccazione e la vendita del caffè). Ma oltre ad aver appreso molto dai produttori di caffè, ho anche insegnato loro alcune cose relative al mio lavoro, come insegnante presso il Sena, l’apprendimento infatti è reciproco.
Come ti sei sentita dopo aver iniziato a lavorare nel settore del caffè?
Il caffè ha sempre fatto parte della mia vita, infatti mio marito lavora nella Federazione nazionale dei coltivatori di caffè come “extensionista de fincas cafeteras”, perciò ogni giorno a casa o al lavoro si parla di caffè e “si respira” caffè.
Che cosa ti domandano i tuoi familiari sul prodotto del caffè, che tu puoi loro insegnare?
A casa mia tutte le conversazioni riguardano il caffè, beviamo caffè, mio marito ogni giorno indossa la sua uniforme con il logo Juan Valdez e i miei figli durante le vacanze aiutano nelle attività relative al caffè, sanno come raccoglierlo e amano andare alla finca per le vacanze. Sanno che il caffè è parte della nostra vita.
In quale settore del caffè stai lavorando adesso?
Mi occupo della semina e della coltivazione fino alla consegna del cafè in pergamino essiccato, ma stiamo anche imparando le tecniche di assaggio e di tostatura.
Che cosa ti piace di più del tuo lavoro?
Stare in campagna, dove si coltiva il caffè e far innamorare i giovani coltivatori della campagna, affinché non la abbandonino per andare in città.
Che cosa ti piace di più del tuo percorso di studio e formazione?
Poter acquisire conoscenze da trasmettere ai coltivatori di caffè in modo che possano migliorare sia il loro modo di lavorare, che i loro introiti. Con il lavoro dei campi un produttore di caffè non può pagare un’assicurazione sanitaria, non percepisce pensione di vecchiaia e in periodi dell’anno in cui non vi è produzione di caffè, deve recarsi in altre aree per lavorare nei campi al fine di sostenere la famiglia, perché la coltivazione del caffè non è così redditizia, in quanto gli intermediari sono quelli che mantengono i profitti. É importante che il coltivatore, che è la base della catena produttiva, possa essere meglio retribuito, riducendo il numero di intermediari. Perché se i coltivatori non sono messi nelle condizioni di proseguire e se non ci sono giovani che vogliono rimanere a lavorare la terra, non vi sarà nessuno che produrrà il caffè che arriva al consumatore finale. Bisogna lavorare alla base della piramide (il produttore).
La maggior parte delle donne che lavorano nell’industria del caffè che tu conosci, di che cosa si occupano?
In base alla mia esperienza personale e lavorativa posso dire che la “donna del caffè” aiuta nello svolgimento di tutti i lavori, sia quelli prettamente maschili (semina, raccolta, lavori di fertilizzazione) che in quello che forse è uno dei lavori più impegnativi, ovvero preparare il cibo per dieci o venti persone durante la stagione della raccolta (alzandosi alle 4 del mattino per preparare la colazione, in molti casi cucinando cibo con legna da ardere) oltre a svolgere altre faccende domestiche. Negli ultimi cinque anni, le donne stanno anche formando gruppi associativi di produttori di caffè, guidano attività nelle loro aree e ricoprono ruoli che in precedenza erano ricoperti solo dagli uomini. Ma la donna sarà sempre la colonna portante di una “famiglia del caffè”.
Che importanza ricoprono le associazioni di coltivatori di caffè del tuo Paese e le associazioni che riuniscono le donne che lavorano nell’industria del caffè? Puoi raccontarci qualcosa su queste associazioni?
Per quanto riguarda tutte le attività relative al caffè, negli ultimi quindici anni le associazioni hanno ricoperto un ruolo molto importante, così come negli ultimi anni hanno guadagnato importanza i gruppi delle “donne del caffè” che via via si sono aggiudicate una posizione, mettendo in luce il ruolo che ricoprono le donne stesse in questo settore.
Che cosa conoscevi dell’Italia prima di fare questo viaggio?
Che si consuma molto caffè (fra il più alto consumo pro capite), che l’industria del caffè si è sviluppata lì (tecnologia e attrezzature) e che il nostro caffè arriva ai consumatori italiani. Oltre a sapere dell’esistenza dei luoghi turistici e di tutta la sua storia antica.
Che cosa ti è piaciuto di più?
Conoscere “l’altra parte del mondo del caffè” (la trasformazione e il consumatore finale) e sapere come il nostro caffè arriva in Italia.
Che cosa ti ha colpito di più della tua visita in Italia?
Mi hanno colpito il turismo e tutto ciò che viene conservato, così come il fatto che le persone siano molto attente. Per esempio, mi è capitato che quando ho mostrato a un consumatore oppure a un acquirente, le foto della mia fattoria, li ho visti felici di vedere il luogo di provenienza e dunque di raccolta del chicco di caffè.
Come ti immagini fra cinque anni?
Mi vedo produrre caffè, ma vendendolo direttamente ai consumatori in Italia. Spero che molti acquirenti visitino il nostro Paese e conoscano “l’altra parte del mondo del caffè” (la produzione del chicco).
Tre parole per descrivere, come donna, il caffè.
Passione, imprenditorialità e cultura.
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Spazio del lettore:
“Una favola di caffè: Chicco e Cereza”
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